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Le conseguenze di un’era drogata da Amazon Prime

Non so a voi (probabilmente sì), ma a me sembra sia diventato quasi impossibile riuscire a far comprendere ai clienti che ogni azienda manifatturiera che si rispetti ha una programmazione produttiva ben precisa dalla quale è difficile discostarsi.

Mi spiego meglio e parto da un esempio che ci tocca direttamente. MICROingranaggi ha chiuso il primo trimestre di quest’anno con un incremento del fatturato pari a 38,3%, il che significa che – tra la metà di novembre e i primi di gennaio – abbiamo ricevuto una quantità di ordini (in parte, devo dire, anche inaspettati) che ci ha coperto di fatto tutte le macchine del reparto produttivo per interi mesi. E non lo dico per esagerare, perché la programmazione di cui parlo è il risultato di calcoli ben precisi. Succede quindi che, nel momento in cui riceviamo una nuova richiesta, dobbiamo necessariamente inserirla nella situazione operativa della nostra officina. Il problema è che

sempre più clienti non riescono e non vogliono accettare che un’azienda manifatturiera come MICROingranaggi (ripeto: parlo per noi, ma sono certo che questa situazione riguardi tante altre realtà) possa avere dei tempi tecnici di consegna diversi da quelli desiderati.

Parliamoci chiaro: capisco bene anche i nostri clienti. Proprio perché so bene che anche loro, di fatto, si trovano a operare nelle medesime condizioni, dettate da un’era drogata da Amazon Prime, dove gli articoli che un’impresa produce devono essere realizzati e immessi sul mercato alla velocità della luce. Ciò nonostante, devo necessariamente anche continuare a ripetere che

la costruzione di pezzi meccanici di precisione custom, e quindi progettati per una determinata applicazione, hanno bisogno di tempi di realizzazione ben precisi cui non si può sfuggire.

È un po’ come se i clienti, per assurdo, cercassero fornitori capaci, qualificati, dotati di tutte le certificazioni del caso e via dicendo, che però – nel momento in cui ricevono una commessa – siano completamente scarichi di lavoro e quindi di fatto pronti a dedicarsi solo a quella. C’è qualcosa che non funziona in questo ragionamento, o sbaglio? Voglio dire che è molto probabile che un’azienda a cui un cliente decide di rivolgersi proprio perché lavora bene, abbia già altro lavoro e, di conseguenza, anche determinati tempi di consegna. E non solo.

L’altro grande problema che ci troviamo ad affrontare è che tutti gli adeguamenti in funzione del mercato che possiamo decidere di fare richiedono tempi molto lunghi.

Mi spiego meglio: nel momento in cui vediamo crescere il lavoro e decidiamo di investire in nuove tecnologie o nelle risorse umane, andiamo incontro a tempistiche tecniche lunghissime. Se assumiamo, prima di tutto dobbiamo cercare una figura in grado di ricoprire quel determinato ruolo; e poi, ammesso che la si riesca a trovare (cosa tutt’altro che scontata), la dobbiamo formare. Idem se decidiamo di acquistare una macchina: ci vuole tempo prima che ci venga consegnata, installata e resa operativa. Senza contare che, comunque, deve esserci qualcuno che poi la faccia funzionare. Si tratta, in entrambi i casi, di processi che non possono in alcun modo essere tempestivi, ma neppure nell’ordine di mesi.

Cosa fare quindi?

Parliamoci chiaro: lavorare costantemente sotto pressione di certo non fa bene alla salute, senza contare, poi, che l’inevitabile è dietro l’angolo: aumenta fisiologicamente la possibilità di errore (da parte di tutti).

Forse qualcuno di voi ha una soluzione o quantomeno una chiave di lettura diversa dalla mia…

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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