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Perché nessuno ha mai tassato i computer?

Un paio di settimane fa L’Espresso ha pubblicato un’inchiesta sul lavoro nei magazzini di Amazon dove, pare, che i ritmi di lavoro eccessivamente serrati stiano causando problemi di salute ai dipendenti (ernie, problemi alla schiena e al collo…). Senza entrare nel merito di quello che accade (o non accade) nei magazzini del marketplace più famoso del mondo,

resta comunque il fatto che i lavori usuranti esistono ancora e che eliminarli sarebbe un successo.

Anche dal punto di vista sindacale. Sbaglio?
Allora mi domando: perché periodicamente si torna a parlare delle nuove tecnologie che “rubano lavoro alle persone”?
Cosa pensate per esempio della provocazione che qualche tempo fa ha lanciato Bill Gates a proposito del dare una indennità di disoccupazione alle vittime del progresso, proponendo di tassare le macchine?

Di lavori usuranti, quelli cioè che a lungo andare possono provocare problemi di salute alle persone, ne esistono ancora tanti. Immaginate, quindi, quali vantaggi si potrebbero ottenere se per esempio in catena di montaggio tali mansioni fossero demandate a dei robot collaborativi.
Vantaggi che otterrebbe non solo l’azienda, ma anche l’operaio stesso.

Io quindi penso che quella di Bill Gates sia stata una bella provocazione (su questo non ci sono dubbi), soprattutto perché quello che sta accadendo nelle nostre fabbriche è estremamente interessante da un lato, ma – dall’altro – anche un po’ sconvolgente.
Nello stesso tempo, però, sarebbe utile cercare di capire per quale ragione allora nessuno ha mai tassato i computer. Fino a prima degli anni Ottanta nelle aziende c’erano migliaia di impiegati che scrivevano, archiviavano, spedivano lettere, inviavano fax… Un mondo lontano anni luce da quello di oggi. Poi sono arrivati i computer. E piano piano queste persone hanno smesso di svolgere buona parte delle loro mansioni come le svolgevano prima e hanno iniziato a farlo in modo diverso.

Eppure nessuno ha mai tassato i computer. I computer, probabilmente con un impatto di gran lunga superiore a quello delle applicazioni HRC (Human Robot Collaboration), hanno fatto ciò che questi automi così evoluti potrebbero fare nell’industria nei prossimi anni. Con una differenza: i robot si fermeranno probabilmente al lavoro nelle officine produttive e nei magazzini, i computer si sono diffusi ovunque e a qualunque livello.

Anche i computer hanno tolto il lavoro a tanta gente. O meglio: hanno iniziato a svolgere determinate mansioni al posto di molte persone, le quali però hanno fatto altro. Non mi pare infatti che ci siano stati così tanti disoccupati a causa dell’avvento dei computer nelle aziende. Sono semplicemente nate nuove esigenze e di conseguenza nuove professioni.

Anche parlando di robot collaborativi, quindi la mia idea non cambia: le nuove tecnologie non provocheranno una disoccupazione di massa. Semplicemente scompariranno alcune figure professionali (come quella dell’operaio che svolge lavori usuranti) e ne nasceranno di nuove.
E aggiungo anche un’altra considerazione:

l’avvento dei robot collaborativi e, più in generale, delle nuove tecnologie sta andando e andrà sempre più di pari passo con il progressivo innalzamento della scolarizzazione e quindi del livello culturale medio. Avremo persone quindi che saranno pronte a svolgere tutte quelle professioni che oggi ancora non esistono. E questo non potrà che essere positivo, sbaglio?

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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