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Cosa significa fare l’imprenditore oggi? Alcune riflessioni…

Non è difficile incontrare chi sostiene che le imprese del nostro paese siano lasciate un po’ in balia di loro stesse e che – rispetto ad altri paesi europei – fare l’imprenditore in Italia oggi significhi doversela cavare da solo, senza alcun supporto da parte dello Stato. Cosa ne pensate?

Io sono tendenzialmente d’accordo, ma la mia impressione è che la situazione non sia degenerata negli ultimi tempi. È sempre stato più o meno così:

l’imprenditore italiano è storicamente abituato a cavarsela da solo, fa parte del suo DNA. Una dote, peraltro, che gli altri paesi apprezzano e ci invidiano.

Quello che ultimamente mi sembra cambiato sono più che altro gli elementi di contorno: oggi è più difficile pensare di poter guidare un’azienda senza alcune condizioni specifiche. Pensiamo alle banche, per esempio. Una volta c’erano imprenditori e aziende che riuscivano tranquillamente ad andare avanti a lavorare senza il supporto degli istituti di credito: il lavoro era tanto, le marginalità erano alte, il Paese era in crescita, e la situazione generale era di benessere pressoché assoluto. Tutto questo portava molte realtà ad accumulare ingenti capitali che poi potevano essere investiti altrove (nell’immobiliare, per esempio), dove nel giro di poco tempo fruttavano a tal punto da poter nuovamente essere investiti, innescando un circolo virtuoso a favore della di una qualche crescita economica.

Oggi non è più così:

c’è più burocrazia, e dobbiamo lavorare con marginalità sempre più risicate. Il che ci porta a fare molta più fatica per guadagnare meno.

Le banche, inoltre, fanno più fatica a erogare finanziamenti, ma questo – a parere mio – non è così negativo. Neanche troppo tempo fa infatti abbiamo attraversato una fase intermedia durante la quale era quasi più facile ottenere un finanziamento da un istituto di credito se si avevano legami diretti con il suo direttore, piuttosto che dietro presentazione di un piano di sviluppo serio, concreto e strutturato. Oggi fortunatamente viene lasciato meno potere decisionale al singolo individuo, in favore di una documentazione concreta e realizzata in maniera oculata che dimostri come, dove e perché vengono impiegati determinati capitali.
Questo a mio avviso non può che essere un bene, non solo perché così facendo vengono premiate imprese capaci e in grado di fare un passo alla volta, ma anche perché vengono supportate le realtà più virtuose in grado di competere anche all’estero.

Tornando alla domanda iniziale e parlando da imprenditore, quindi, posso dire che in 33 anni di lavoro non mi sono mai sentito particolarmente supportato dallo stato: te la dovevi cavare da solo allora, così come te la devi cavare da solo adesso.
Concordo invece nel sostenere che la situazione italiana – oggi come ieri – sia più ostica di quella di molti altri paesi. Questo però credo che dipenda più che altro da quella che è la fisionomia tipica dell’azienda italiana. A chi opera nel settore della meccanica, per esempio, viene naturale fare confronti con la Germania, dove sono molte meno le realtà di stampo imprenditoriale e molte di più le società di capitali. Vien da sé che questo porti ad avere dinamiche conseguenti diverse.
Senza contare che, per quella che è la mia impressione, in Germania gli scambi tra aziende, Stato e Università sono sempre stati più intensi e proficui a vantaggio di tutto il sistema.

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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